IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
    Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento n. 15/1992 Rsmsa.
    E' necessaria una sintetica descrizione della fattispecie concreta
 posta  all'esame del tribunale per illustrare le ragioni che inducono
 a chiedere l'intervento della Corte costituzionale.
    Il tribunale e' stato informato dai servizi sociali  locali  della
 nascita di un bambino non riconosciuto da nessuno dei genitori.
    Nell'atto  di  nascita,  formato dall'ufficiale di stato civile su
 denuncia dell'ostetrica che ha assistito  al  parto,  il  bambino  e'
 stato indicato come figlio di donna che non intende essere nominata.
    Ricevuta  la segnalazione, il presidente del tribunale ha delegato
 i servizi sociali a comunicare alla madre le  facolta'  spettanti  ai
 sensi dell'art. 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184.
    L'assistente  sociale  incaricata  ha  comunicato che la madre non
 intendeva ne' riconoscere il figlio, ne' chiedere la sospensione  del
 procedimento.
    Nel   riferire   tale   volonta'  l'assistente  sociale  ha  anche
 comunicato di aver appreso dalla puerpera che il  bambino  e'  figlio
 del  marito  della  donna;  al  padre  e'  stata  tenuta  nascosta la
 gravidanza e la nascita del figlio; lo stesso e' tossicodipendente  e
 si trova in carcere; altri figli avuti in precedenza non vivono con i
 genitori   a  causa  di  problemi  familiari;  la  decisione  di  non
 rinconoscere il nascituro era maturata in lei durante la  gravidanza:
 in un primo tempo essa aveva pensato di interrompere la gestazione ma
 era invece fuggita dall'ospedale poco prima dell'operazione abortiva.
    Il  tribunale ha dichiarato lo stato di adottabilita' e, decorsi i
 termini per eventuali opposizioni, puo'  dichiarare  farsi  luogo  ad
 affidamento  preadottivo non essendo intervenuto alcun riconoscimento
 nel frattempo.
    Si e', tuttavia,  astenuto  dal  deliberare  in  quanto  una  tale
 pronuncia  renderebbe definitivamente inefficace un eventuale tardivo
 riconoscimento.
    Il  caso  prospettato  pone  in  evidenza  un  contrasto  tra   la
 condizione giuridica e la condizione storica del minore.
    Il  bambino  e'  infatti  da considerare, per l'ordinamento, quale
 figlio naturale non riconosciuto, poiche' tale si  presenta  in  base
 all'atto di nascita.
    Nella  realta'  storico-fattuale,  invece,  il  neonato  e' figlio
 legittimo. I due genitori legittimi pero' sono affatto sconosciuti al
 tribunale.
    Il contrasto tra le due  realta'  e'  consentito  dall'ordinamento
 giuridico,  per  il  valore attribuito all'atto di nascita quale atto
 attributivo dello stato di figlio legittimo e  per  la  liceita'  del
 comportamento  della  madre  la  quale ha espresso la volonta' di non
 essere nominata nell'atto di nascita.
    Il contrasto  non  si  esaurisce  in  ambito  privatistico  ma  si
 riflette  direttamente  sull'attivita' che il tribunale deve svolgere
 nel momento in cui inizia il procedimento di adozione e sul contenuto
 della decisione da prendersi.
    Nel disciplinare la procedura per la dichiarazione dello stato  di
 adottabilita' la legge n. 184/1983 distingue due ipotesi.
    In caso di filiazione naturale l'art. 11 prevede che il tribunale,
 in  ogni  caso,  anche a mezzo dei servizi locali, informi entrambi i
 presunti genitori, se possibile, o comunque quello reperibile, che si
 possono avvalere  della  facolta'  di  chiedere  la  sospensione  del
 procedimento per provvedere al riconoscimento.
    Tale  norma  pone  dei limiti alla ricerca della paternita', nella
 misura del "possibile", da intendersi quale materiale possibilita' di
 individuazione del padre. Dalla formulazione della  norma  si  deduce
 che  l'interesse  del  padre  naturale  non e' in ogni caso tutelato,
 poiche' incontra il limite di cui si e' detto: il  tribunale  non  e'
 tenuto  ad effettuare particolari ricerche per individuare il padre e
 contestare lo stato di abbandono.
    Analoga  previsione  legislativa non vi e' nel caso di figlio nato
 in costanza di matrimonio da  persona  coniugata:  in  tal  caso  e',
 invero, sempre possibile risalire al padre legittimo.
    L'art.  10,  infatti,  prescrive  "approfonditi accertamenti sulle
 condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui  ha
 vissuto  e  vive,  al  fine  di  verificare  se  sussiste lo stato di
 abbandono".
    In forza di tale norma, il tribunale e' tenuto  -  direttamente  o
 tramite  i  servizi  sociali  o  l'ufficiale  di  Stato  civile  - ad
 accertare la condizione giuridica del minore e  quindi  accertare  lo
 stato  di  figlio legittimo non allo scopo di costituire lo status ma
 contestare al padre legittimo (oltre che  alla  madre)  lo  stato  di
 abbandono,  effettuando  altresi'  la  ricerca  dei  parenti entro il
 quarto grado che possano assistere il minore, per l'attivazione della
 procedura prevista dall'art. 12 della stessa legge.
    Il sistema delineato dagli artt. 10, 11 e  12  della  legge  sulle
 adozioni si presenta coerente con la normativa civilistica in tema di
 filiazione  legittima  (artt.  231 e 232 cod. civ.) e naturale (artt.
 250, 254 e 258 del cod. civ.).
    Nell'interpretare e nell'applicare  la  normativa  sulle  adozioni
 occorre  tener  presente  la  rilevanza  attribuita  dall'ordinamento
 all'atto di nascita quale titolo costitutivo dello  stato  di  figlio
 legittimo.
    Autorevole  dottrina,  che  trova il consenso della giurisprudenza
 della Corte di cassazione in materia  civile  e  in  materia  penale,
 ritiene l'atto di nascita elemento costitutivo della legittimita' del
 figlio  e  conseguentemente  afferma  che  la formazione dell'atto di
 nascita realizza un'ipotesi di pubblicita' costitutiva.
    L'adesione a tale tesi non comporta tuttavia che in presenza di un
 atto di nascita che indichi il figlio come  nato  da  donna  che  non
 vuole  essere  nominata  venga  preclusa  ogni  ulteriore indagine al
 tribunale investito della procedura per l'adozione.
    Nell'ipotesi in esame, sulla  scorta  delle  notizie  fornite  dai
 servizi  sociali,  il tribunale, dovrebbe effettuare ricerche dirette
 risalendo alla madre attraverso il certificato di assistenza al parto
 e gli atti attinenti  il  ricovero  in  ospedale  della  puerpera  ed
 individuare  il  padre  mediante  il  certificato di matrimonio della
 donna.
    Potrebbe, in alternativa, trasmettere copia delle informazioni dei
 servizi sociali all'ufficiale di stato civile perche'  egli  pervenga
 all'individuazione   dei  genitori  nello  stesso  modo.  Sulla  base
 dell'art. 73  della  legge  sullo  stato  civile  al  bambino  verra'
 conseguentemente  attribuito  lo  stato  di  figlio  legittimo e cio'
 comportera' l'instaurazione della procedura prevista dagli artt. 12 e
 ss. della legge n. 184/1983.
    Si deve, quindi, necessariamente  osservare  che  alla  madre  che
 abbia concepito fuori dal matrimonio e' consentito tacere il nome del
 padre  del  bambino,  ed  un'eventuale  ricerca  di  quest'ultimo, da
 attuarsi ai fini dell'art. 11 della legge adoz. e  percio'  solo  "se
 possibile"  (sesto  comma,  art.  cit.),  incontra  il  limite  della
 volonta' della donna.
    Quando invece risulta, da qualsiasi fonte, che la nascita  avviene
 da  donna  coniugata  ed  all'interno del rapporto matrimoniale, alla
 donna non e' in alcun modo possibile  impedire  l'individuazione  del
 padre,  in  quanto  l'art.  10  della  legge sulle adozioni impone al
 tribunale "approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di
 fatto del minore".
    Il sistema normativo non si presenta tuttavia omogeneo.
    Un   primo   elemento   di  contraddizione  si  evidenzia  tra  la
 disposizione dell'art. 10 della legge sulle adozioni  e  la  facolta'
 riconosciuta  alla  madre  di  non voler essere nominata nell'atto di
 nascita, con la conseguente rilevanza attribuita all'atto dello stato
 civile.
    Il secondo elemento di contrasto con l'omogeneita' del sistema  e'
 costituito  dal  diritto  potestativo  della donna di interrompere la
 gravidanza se maggiorenne, senza richiedere l'assenso o  il  consenso
 di  altre persone, nemmeno del padre del nascituro e se minorenne con
 i limiti di assenso indicati nell'art. 12 della legge n. 184  del  22
 maggio 1978.
    La facolta' della madre biologica di non essere nominata nell'atto
 di  nascita  del  figlio  e  il  citato  potere  di  interrompere  la
 gravidanza senza richiedere l'assenso o il  consenso  del  padre  del
 nascituro  indicano  che  l'ordinamento  attribuisce  rilevanza  alla
 esclusiva volonta' della donna per decisioni di importanza comuni del
 padre o della madre.
    Tale volonta' esclude il padre,  attuale  o  futuro  da  decisioni
 rilevanti per il suo stesso status di padre.
    La  fattispecie  all'esame  del  tribunale  contiene  in se questo
 paradosso: la donna avrebbe potuto abortire - ed era sulla soglia per
 farlo - senza dover neppure informare il padre.  Avrebbe  potuto,  in
 caso  di filiazione naturale, dichiarare di non voler essere nominata
 (e l'ufficiale di stato  civile  avrebbe  incontrato  il  divieto  di
 identificazione del padre naturale) senza dover chiedere l'assenso al
 padre naturale.
    La  conoscenza  informale del reale stato di filiazione del minore
 impone, invece, al tribunale di superare la volonta'  della  madre  e
 risalire al padre.
    Dagli elementi di fatto in possesso del tribunale si puo' evincere
 che il comportamento della madre e' stato dettato dalla necessita' di
 evitare  al  proprio  figlio  l'inserimento in una famiglia del tutto
 inidonea ad una sua corretta educazione.
    Non motivi egoistici hanno indotto la madre a non  riconoscere  il
 figlio  ma,  e' da ritenersi, la consapevolezza che il figlio gia' si
 trovava nel  momento  stesso  della  nascita  in  una  situazione  di
 abbandono  morale e materiale. Di fronte a tale evenienza la donna si
 e' indotta  a  far  ugualmente  nascere  il  figlio,  lasciando  alla
 pubblica  assistenza il compito di provvedere alle sue necessita'; e'
 da  valutare  in  tale  prospettiva  il   volontario   allontanamento
 dall'ospedale al momento di effettuare l'intervento abortivo.
    Di  fronte ad un bene di importanza suprema quale la vita la donna
 ha un potere non comprimibile ne' sindacabile, nei limiti della legge
 n.  184/1978;  di  fronte  ad  un  interesse  sicuramente  di   rango
 costituzionale  quale  l'inserimento  in  una  famiglia  legittima ma
 sottordinato rispetto al bene dell'esistenza non vi e'  alcun  potere
 per la donna di valutare l'interesse del figlio attraverso il diniego
 ad essere nominata nell'atto di nascita.
    La  contraddizione,  ad avviso del tribunale va rimossa attraverso
 la  dichiarazione  di  incostituzionalita'  dell'art.  10,  legge  n.
 184/1983  nella  parte in cui ai fini della dichiarazione dello stato
 di   abbandono   impone   al   tribunale,   con   qualsiasi    mezzo,
 l'individuazione   della  donna,  che  non  intende  essere  nominata
 nell'atto di nascita e conseguentemente l'individuazione  del  marito
 di lei.
    La norma appare in contrasto con l'art. 3 della Carta fondamentale
 che  sancisce  l'uguaglianza  di tutti i cittadini davanti alla legge
 senza distinzione di condizioni personali e sociali.
    A parita' di contenuto dell'atto di stato civile indicante che  il
 neonato  e'  figlio  di  donna  che  non  vuole essere nominata viene
 infatti realizzata una non razionale disparita' di trattamento tra  i
 figli  naturali  per  i  quali la ricerca della paternita' incontra i
 limiti contenuti nell'art. 11 legge sulle  adozioni  e  i  figli  cui
 spetterebbe  lo status di figlio legittimo in forza degli artt. 231 e
 232 del cod. civ.  Per  questi  ultimi,  infatti,  la  ricerca  della
 paternita'  e'  sempre  possibile,  indipendentemente  dalla volonta'
 della madre.
    La norma si pone in contrasto anche con le disposizioni  dell'art.
 31,   secondo   comma,   della   Costituzione  e  dell'art.  2  della
 Costituzione.
    La tutela della vita e  della  maternita'  impongono,  invero,  al
 legislatore ordinario la tutela della riservatezza della donna.
    L'intervento  dei  pubblici  poteri e' da attuare solo se comporta
 una piu' intensa protezione dell'infanzia: quando invece si  risolve,
 nel  caso  concreto, in un pregiudizio per il minore e in una lesione
 del diritto alla riservatezza e' da evitarsi.  (In  tal  senso  Corte
 costituzionale ordinanza n. 388 del 31 marzo 1988).